(da: Le forme individuali di vita consacrata di Jean Beyer S.J.)
Gli eremiti nel Codice hanno il vantaggio di trovarvi una descrizione della loro propria vocazione nella vita consacrata (c. 603, par. 1). La cosa è importante. Partendo dal fatto dell'appello divino riconosciuto dalla Chiesa, essi sono della Chiesa e hanno nel diritto una posizione giuridica certa (3). Canonicamente, per essere riconosciuto eremita, bisogna che questi si impegni nelle mani del Vescovo, con una pubblica professione - attraverso voti o altri sacri legami - alla pratica dei tre consigli evangelici, a vivere uno stile di vita determinato sotto la guida dello stesso Vescovo diocesano.
Questa dipendenza è una obbedienza. Impedisce che l'eremita diventi un girovago. C'è tuttavia una difficoltà a realizzare un tale impegno. Il Vescovo comprenderà ciò che è, come vita consacrata, una vita eremitica? Se già molti religiosi si lamentano per la mancanza di comprensione della loro vita da parte delle autorità diocesane e della difficoltà a vivere il loro proprio carisma, non si può negare che un eremita preferisca non prendere questi impegni e vivere in fedeltà alla sua vocazione questo genere di vita consacrata. Tuttavia, in questo caso, sarà utile e perfino necessario dipendere da un prete - spesso il confessore dell'eremita - informato delle esigenze di un tal genere di vita. Ma questi non è sempre pienamente informato delle esigenze reali di questa vocazione, né dei progressi possibili in questa vita di silenzio e di solitudine. Il progetto del 1977, a questo riguardo, era piú ampio e piú prudente.
L'impegno dell'eremita poteva essere preso in dipendenza da un superiore religioso competente. Questo superiore può essere, se l'eremita è religioso, il suo proprio superiore. Poteva essere anche un superiore religioso da cui dipende un terz'ordine secolare (4). Il testo del c. 92, par. 2 del progetto del 1977 sembra ammettere questa soluzione. Un fatto è certo: un fedele cristiano può essere eremita, se si conforma alle esigenze spirituali ed esterne che pone oggi il c. 603, par. 1. Ciò esige: una separazione piú rigorosa dal mondo, il silenzio della solitudine, una preghiera e una penitenza continue. Una tale vita consacrata si vive per la lode di Dio e per la salvezza del mondo. Quest'ultimo elemento va sottolineato perché mette in evidenza la dimensione apostolica universale di questo dono a Dio e alle anime che suppone questo impegno (5). Essere eremita nella Chiesa, secondo il c. 603, par. 1, è un tipo di vita ecclesiale; gli impegni presi non sono piú semplicemente privati; se sono presi davanti al Vescovo diocesano, questo carattere ecclesiale è rafforzato.
Attenendosi alla normativa del c. 603, par. 2, un religioso, anche monaco, non sarà riconosciuto canonicamente in modo pieno come eremita senza questa professione di vita evangelica fatta nelle mani del Vescovo della diocesi. Le Costituzioni degli Istituti monastici possono tuttavia prevedere un tale impegno come conseguenza di una professione fatta in un Istituto di vita monastica. In questo caso, queste Costituzioni dovranno essere ben redatte e approvate dalla Santa Sede. Il monaco potrebbe essere eremita sulla proprietà del monastero e, avvertendo l'Ordinario del luogo, al di fuori del territorio del suo monastero, in vista di una piú grande solitudine. Come si vede, il fatto di considerare l'eremita nel Codice è un progresso. Il c. 603 non sopprime tutte le difficoltà. Numerose questioni restano aperte. La pratica spesso risolve meglio certi problemi rispetto alla loro discussione teorica. Notiamo, infine, che un eremita che non è religioso, non diventa «religioso» per il fatto della professione che emette nelle mani del Vescovo; questo contrariamente a quanto considerava il c. 92, par. 2 del progetto del 1977 (6).
Questa dipendenza è una obbedienza. Impedisce che l'eremita diventi un girovago. C'è tuttavia una difficoltà a realizzare un tale impegno. Il Vescovo comprenderà ciò che è, come vita consacrata, una vita eremitica? Se già molti religiosi si lamentano per la mancanza di comprensione della loro vita da parte delle autorità diocesane e della difficoltà a vivere il loro proprio carisma, non si può negare che un eremita preferisca non prendere questi impegni e vivere in fedeltà alla sua vocazione questo genere di vita consacrata. Tuttavia, in questo caso, sarà utile e perfino necessario dipendere da un prete - spesso il confessore dell'eremita - informato delle esigenze di un tal genere di vita. Ma questi non è sempre pienamente informato delle esigenze reali di questa vocazione, né dei progressi possibili in questa vita di silenzio e di solitudine. Il progetto del 1977, a questo riguardo, era piú ampio e piú prudente.
L'impegno dell'eremita poteva essere preso in dipendenza da un superiore religioso competente. Questo superiore può essere, se l'eremita è religioso, il suo proprio superiore. Poteva essere anche un superiore religioso da cui dipende un terz'ordine secolare (4). Il testo del c. 92, par. 2 del progetto del 1977 sembra ammettere questa soluzione. Un fatto è certo: un fedele cristiano può essere eremita, se si conforma alle esigenze spirituali ed esterne che pone oggi il c. 603, par. 1. Ciò esige: una separazione piú rigorosa dal mondo, il silenzio della solitudine, una preghiera e una penitenza continue. Una tale vita consacrata si vive per la lode di Dio e per la salvezza del mondo. Quest'ultimo elemento va sottolineato perché mette in evidenza la dimensione apostolica universale di questo dono a Dio e alle anime che suppone questo impegno (5). Essere eremita nella Chiesa, secondo il c. 603, par. 1, è un tipo di vita ecclesiale; gli impegni presi non sono piú semplicemente privati; se sono presi davanti al Vescovo diocesano, questo carattere ecclesiale è rafforzato.
Attenendosi alla normativa del c. 603, par. 2, un religioso, anche monaco, non sarà riconosciuto canonicamente in modo pieno come eremita senza questa professione di vita evangelica fatta nelle mani del Vescovo della diocesi. Le Costituzioni degli Istituti monastici possono tuttavia prevedere un tale impegno come conseguenza di una professione fatta in un Istituto di vita monastica. In questo caso, queste Costituzioni dovranno essere ben redatte e approvate dalla Santa Sede. Il monaco potrebbe essere eremita sulla proprietà del monastero e, avvertendo l'Ordinario del luogo, al di fuori del territorio del suo monastero, in vista di una piú grande solitudine. Come si vede, il fatto di considerare l'eremita nel Codice è un progresso. Il c. 603 non sopprime tutte le difficoltà. Numerose questioni restano aperte. La pratica spesso risolve meglio certi problemi rispetto alla loro discussione teorica. Notiamo, infine, che un eremita che non è religioso, non diventa «religioso» per il fatto della professione che emette nelle mani del Vescovo; questo contrariamente a quanto considerava il c. 92, par. 2 del progetto del 1977 (6).
2 commenti:
L'eremitaggio e' una realta' sconvolgente, io ne sono testomone poiche' ho sostenuto spiritualmente e materialmente un "uomo di dio" che con tempo prolungato di prova e il discernimento del vescovo diocesano e' stato consacrato monaco eremita. mi chiedo, Vi chiedo cosa intendede dire agli ultimi righi dello scritto circa il fatto che l'eremita non e' "religioso"? Cordialita' Mario Napoleone
Ciao
Rispondo solo a titolo personale non essendo io l'autore dell'articolo.
L'autore credo intenda dire che un laico che diventa eremita sotto un Vescovo, mantiene il suo stato di laico (non diventa cioè canonicamente un "religioso").
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