IDEE, PROPOSTE E PROGETTI

IDEE E PROGETTI CONDIVISI

lunedì 2 giugno 2025

Il monachesimo interiorizzato

AA cura di Maria Rita Massa, dottorata al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo e di Guidalberto Bormolini, dottorando al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo a Roma.

Dalla metà del XX secolo i valori tipicamente monastici come il rapporto intimo con Dio, la ricerca di un equilibrio tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato al silenzio e alla contemplazione, interessano non più soltanto i monaci ma un vasto numero di credenti e di persone in ricerca.
Gli scritti dei Padri, sia orientali che occidentali, il significato profondo della liturgia, la lectio divina, la ricchezza della spiritualità dell’Oriente cristiano, sono oggetto di riscoperta da parte di molti laici impegnati a livello ecclesiale, ma destano anche molto interesse nelle persone in ricerca che si collocano fuori dalla Chiesa istituzionale.
Tante persone oggigiorno vivono la vocazione monastica come dimensione fondamentale della loro vita e accentuano quello che può definirsi “l’archetipo monastico”, cioè una dimensione profonda della ricerca dell’intimità con l’Assoluto che è presente in ogni essere umano1. Vivere il monachesimo è una risposta alla natura più profonda dell'uomo. La costante ricerca della Verità o dell'Assoluto, lungo tutta la storia dell'umanità, dimostra come è insita al cuore umano aspirare al trascendente.
Il concetto-esperienza di monachesimo interiorizzato è nuovo rispetto a quello molto più antico di uomo interiore che, con le sue radici filosofico-teologiche, dalla cittadella interiore di Marco Aurelio all’agostiniano maestro interiore, giunge sino a noi e ci offre le basi per comprenderlo. Nuovo anche rispetto alle esperienze dei laici che gravitano intorno ai centri monastici, come gli oblati o i terz’ordini. Questi infatti sono sempre degli affiliati, collegati a precise spiritualità e comunque dotati di una certa quantità di elementi strutturanti. Nel monachesimo interiorizzato invece è presente una grande libertà creativa e un profondo respiro ecclesiale, inter-religioso e cosmico. É una via percorribile dall’uomo contemporaneo desideroso di acquisire una effettiva qualità di vita. Il monachesimo, nato come esperienza laica, sembra procedere nella storia con una specie di ritorno nel proprio alveo originario e in risposta alle istanze dell’uomo contemporaneo. La più pressante ed estesa è una sorta di lacerazione interiore che priva l’uomo dei contatti con il suo io più profondo e con l'Assoluto. Nella concezione monastica, la risposta alla primordiale tendenza a superare ogni spaccatura è data dall’amore paziente che abita quel «senza fondo» che è l’uomo, come direbbe Clément. Questa forza divino-umana fa sopportare, nel senso greco della parola, hypo-moné, (rimanere sotto, prendere addosso, portare, perseverare), la tensione tra il cielo e la terra, tra «i due mondi», secondo l’espressione di Florenskij, la tensione tra interiorità ed esteriorità, tra solitudine e compagnia, in uno stile di vita che possiamo chiamare mistica dell’unione.
1. Un’atmosfera interiore ereditata, non è qualcosa che si inventa o si vive inconsciamente. Ma è un eco che, a partire dall’Evangelo, attraverso l’esperienza del martirio e del monachesimo, si rifrange al centro dell’uomo. Pertanto implica un’attrazione e una simpatia naturale verso i monasteri che si traduce in contatti frequenti a livello liturgico ed amicale.
2. Una forte sensibilità per quella tensione escatologica che anima tutta la Chiesa ma che in alcuni è particolarmente spiccata. L’«amore per la parusia», come direbbe Evdokìmov, muovendo la persona ad uscire incontro al Signore che viene, educa ad un costante decentramento da sé. Essa implica un rapporto speciale, positivo con quell’evento limite dell’esperienza umana che è la morte, la cui memoria non è mai slegata a quella della risurrezione. Come si esprime Clément, il monaco è «un risorto» sulla terra, intimamente ferito dalla nostalgia del paradiso.
3. Una decisione per quel deserto che è il mondo riconosciuto come luogo della comunione con Dio, della lotta contro il maligno e palestra dove sviluppare l’arte della preghiera, del discernimento e della parola (riverbero di quella di Dio).
4. Privilegia alcuni mezzi che ritiene particolarmente adatti a favorire la rigenerazione battesimale e lo spirito contemplativo: la solitudine, il silenzio, la preghiera continua nella invocazione del nome di Gesù.
5. Sottolinea il primato dell’essere umano sull’istituzione, il valore della persona nella sua originalità rispetto alla struttura. L’aggancio con la traditio della Chiesa è mantenuto grazie ed una concezione ampia di maternità-paternità spirituale ed alla pratica effettiva di un rapporto di guida spirituale.
6. I voti monastici compresi come dimensioni intrinseche al battezzato e non come prerogativa specifica di alcune categorie di cristiani. Vissuti come conseguenze ovvie di una spiritualità incentrata sulle relazioni totali con l’amore trinitario.
7. Una dimensione ontologica che precede ogni carisma cristiano, sarebbe una sorta di vocazione fondamentale che fa da base alle altre6: matrimonio, presbiterato, missionarietà ad gentes. Tende ad essere, come il monachesimo orientale “un punto di riferimento per tutti i battezzati (…) proponendosi come sintesi emblematica del cristianesimo»7.
8. Sganciato da ogni fine utilitaristico, va a toccare l’ultima risposta alle domande circa l’agire di Dio, ossia la gratuità, il puro dono in cui movente e finalità coincidono.
9. Un dialogo continuo tra monachesimo interiore (collegato all'archetipo) e monachesimo interiorizzato (collegato alla grande tradizione monastica).
 
1 Cfr. R. PANNIKAR, Beata semplicità. La sfida di scoprirsi monaco, Assisi 2007.
2Il santo vescovo e monaco Tikon spesso diceva: “Non siate preoccupati di moltiplicare i monaci. L’abito nero non concede automaticamente la salvezza. Colui che porta l’abito bianco e che possiede lo spirito di obbedienza, di umiltà e di purezza, questi è un vero monaco che vive il monachesimo interiorizzato”. Egli alludeva al detto dei Padri: ”L’abito nero (monastico) non ci salva se non viviamo secondo la regola monastica. E l’abito bianco (del secolare) non ci conduce alla rovina, se facciamo ciò che piace a Dio”. I. KOLOGRINOV, Santi Russi, Milano 1977.
3“Quanto alle nostre condizioni diverse di monaco e di laico, non preoccuparti. Dio cerca anzitutto un cuore pieno di fede in lui e nel suo Figlio Unigenito, ed è in risposta a questa fede che manda dall’alto la grazia dello Spirito santo. Il Signore ricerca un cuore ricolmo d’amore per lui e per il prossimo: è questo il trono sul quale ama sedersi e manifestarsi nella pienezza della sua gloria […]. Il Signore ascolta sia un monaco che un laico, un semplice cristiano: a condizione che essi amino Dio nel profondo del cuore e abbiano una fede autentica, una fede come un granellino di senape”. I. GORAÏNOFF, Serafino di Sarov. Vita, colloquio con Motovilov, insegnamenti spiritual, Milano 1981, pp. 182-184.
4«La Comunità dei Figli di Dio intende rinnovare nel mondo il mistero della Chiesa, vivendo nelle diverse forme della vita cristiana un monachesimo interiorizzato, aperto a tutti, teso al riconoscimento del primato di Dio» (Dalla presentazione della comunità). L'associazione pubblica di fedeli si articola in 4 rami: il I Ramo comprende laici e sacerdoti che vivono nel mondo; il II Ramo comprende laici sposati che vivono in famiglia facendo i voti di povertà, castità coniugale ed obbedienza; il III Ramo comprende coloro che professano i voti religiosi nello stato verginale o vedovile, vivendo nel mondo; il IV Ramo comprende coloro che vivono la vita monastica in case di vita comune. Il termine monachesimo interiorizzato ricevette un’ulteriore convalida dall’Arcivescovo di Firenze S. Piovanelli che lo riconobbe ufficialmente come carisma presente nella Chiesa (cfr. S. PIOVANELLI, «Omelia dell’ordinazione sacerdotale», in Notiziario 3 (1990/3) 20).
L’espressione e il concetto di “monachesimo interiorizzato” viene dall’Oriente cristiano che ha conservato una spiritualità essenzialmente monastico-contemplativa. Approfondito dal teologo ortodosso russo, Pável Evdokímov (San Pietroburgo 1901- Parigi 1970) e al suo seguito dal teologo ortodosso francese Olivier Clément (Aniane 1921 – Parigi 2009). Evdokimov a sua volta si rifaceva a san Tichon di Zadonsk (Korocko 1724-Zadonsk1783)2 e a san Serafino di Sarov (Kursk 1759- Sarov 1833)3.
Richiamandosi alla grande tradizione, Evdokímov sottolinea la presenza di un monachesimo universale che si innesta alla dignità dell’universale sacerdozio dei fedeli e consiste essenzialmente nell'assumere, pur vivendo nel mondo e forse soprattutto a causa di questa vocazione, il massimalismo escatologico dei monaci.
Il Monachesimo interiorizzato verrà fatto proprio ed elaborato anche in ambito cattolico da Divo Barsotti (uno tra i primi in Italia ad interessarsi di spiritualità orientale, specialmente russa)4 che in una conferenza diceva: “Un teologo ortodosso, Pavel Evdokimov, diceva che con Serafino di Sarov era nato il monachesimo interiorizzato. Ora, noi siamo dei monaci, ma i monaci nuovi: vivere una vita dedicata a Dio, una vita che sia testimonianza della presenza di Dio nel cuore dell'uomo… viverla nel deserto delle città, perché le città sono deserte di Dio. Che vuoto pauroso! È più vuota oggi la
città di Dio di quanto non sia vuoto il deserto. È veramente nelle nostre città che, oggi, non si conosce più Dio, che non si sa più nulla di Lui“5. Questa corrente di pensiero, ma soprattutto di esperienza, è stata di recente rinnovata da Antonella Lumini, la celebre eremita fiorentina.
5 D. BARSOTTI, «Monaci nel deserto del mondo (1971)», dal sito della Comunità dei Figli di Dio (accesso 14.07.2021).
6 Cfr F. COMANDINI, Come monaci nel mondo. Piccola guida al Monachesimo interiore, Torino 2002, p. 37.
7 GIOVANNI PAOLO II, OL 9.

BIBLIOGRAFIA

BARSOTTI, D., «Monachesimo interiorizzato», in Notiziario 3 (maggio 1991) 2-3.
BIANCHI, E., Non siamo migliori. La vita religiosa nella chiesa, tra gli uomini, Magnano (BI) 2002.
COMANDINI, F., Come monaci nel mondo. Piccola guida al Monachesimo interiore, Torino 2002.
DELFIEUX, P. M., Come monastero la città. Un nuovo volto del monachesimo, Milano 2005.
EVDOKÌMOV, P. N., Il Monachesimo interiorizzato, Assisi 2013.
EVDOKÌMOV, P. N., La novità dello spirito, Milano 1997. EVDOKÌMOV, P. N., Le età della vita spirituale, Bologna 2009. EVDOKÌMOV, P. N., La vita spirituale nella città, Magnano (BI) 2011.
KOLVENBACH, P. H., «Monachesimo e chiese cattoliche orientali», in BRUNELLI, G., Monachesimo, laicità e vita religiosa, Bologna 1995, pp. 135-136.
MAIN, J., Monastero senza mura. Lettere dal silenzio, Cinisello Balsamo (MI), 2018.
MERTON, T., «Monachesimo e il futuro: quale?», in Vita Monastica 23 (1969) 3-15.
MERTON, T., Un vivere alternativo, Magnano (BI) 1994.
MONTANARI, A., La vita monastica verso il terzomillennio, Napoli 2000.
PANIKKAR, R., Beata semplicità. La sfida di scoprirsi monaco, Assisi 2007.
RIGHETTO, R., Monaci. Silenzio e profezia nell’era post-cristiana, dialoghi con Divo Barsotti, Enzo Bianchi, Anna Maria Canopi e Ildegarde Sutto, Firenze 1997.
TORCIVIA, M., Guida alle nuove comunità monastiche d’Italia, Milano 2001.

domenica 19 maggio 2024

venerdì 26 agosto 2022

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venerdì 17 aprile 2020

La regola dell'eremita di Montepetra


La regola dell'eremita di Montepetra
Traccia di vita eremitica diocesana
Gli eremiti e le eremite, appartenenti ad Ordini antichi o ad Istituti nuovi, o anche dipendenti direttamente dal Vescovo, con l'interiore ed esteriore separazione dal mondo testimoniano la provvisorietà del tempo presente, col digiuno e la penitenza attestano che non di solo pane vive l'uomo, ma della Parola di Dio (cfr Mt 4, 4). Una tale vita «nel deserto» è un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore (San Giovanni Paolo II, Vita Consecrata 7).
a)      Principi
1)      La vita eremitica è la forma più antica di vita religiosa consacrata fin dal terzo secolo nelle memorie ecclesiastiche (Cf. Sant’Atanasio, Vita Antonii; Palladio, Historia LausiacaApofthegmata Patrum, ecc.) con ubicazione presso il deserto egiziano dove i primi eremiti, incuranti delle persecuzioni, si ritiravano da soli o in gruppo, per lodare Dio ed offrire la propria vita per la salvezza del mondo (Codice di Diritto Canonico, can. 603 §1).
2)      La prima creatura eremita però, tutta raccolta nel mistero di Cristo e vivente solo per Lui, fu la Santa Vergine Immacolata che, staccata da ogni peccato, poté vivere per Dio solo in tutti gli ambiti della sua vita personale e sociale, sempre con lo sguardo rivolto a Dio nell’altissima contemplazione e sempre pronta ad offrirsi totalmente per il bene dei fratelli fino a diventare, Madre della Chiesa (Cf. Beato Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965). Da lei è generata ogni vocazione cristiana, compresa quella eremitica.
3)      La vita eremitica si configura oggi come nei primi tempi come rigorosa separazione dal mondo (Codice di Diritto Canonico, can. 603 §1), senza ovviamente disprezzarlo, ma comprendendo che per animarlo spiritualmente, bisogna staccarsi dalle sue preoccupazioni e dalle sue lacerazioni umane e guardarlo con l’occhio amoroso e sovveniente di Cristo, con lo spirito della penitenza, della preghiera e dell’offerta quotidiana di tutto se stesso per tutti i suoi mali e contraddizioni.
4)      Il silenzio e la solitudine (Codice di Diritto Canonico, can. 603 §1) sono gli ingredienti essenziali di un cammino di ritiro e contemplazione perché l’anima possa raccogliersi in se stessa e trovare lì il suo Signore: La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 16). Per un cammino di amore al mondo bisogna prima compiere il cammino inverso della pratica assidua dell’amore di Dio che abita dentro l’anima.
5)      Per una corretta vita eremitica legata alla Diocesi, e quindi al bene della Chiesa, l’eremita si consacra nelle mani del Vescovo Diocesano e rimane sotto la sua diretta obbedienza (Cf. Codice di Diritto Canonico, Can. 603 §2). E’ aperto alle necessità anche pastorali, soprattutto se sacerdote, pur privilegiando le attività spirituali: la preghiera, lo studio dei sacri testi (ad es. ascetica e mistica cristiana), l’adorazione, la contemplazione.
b)      Mezzi
6)      L’eremita ha bisogno di un luogo che sia almeno un po’ staccato dai centri abitati per garantire un accettabile clima di silenzio e solitudine così tanto necessari per questo stato di vita, di una piccola chiesa o santuario, o anche di una piccola aula adibita a Cappella, dove, con il permesso del Vescovo Diocesano, possa conservarsi il Santissimo Sacramento per l’adorazione eucaristica. La Cappella sarà interna od esterna al suo luogo di ricovero, dove l’eremita potrà trascorrere la maggior parte del suo tempo, celebrando integralmente la Liturgia delle ore approvata dalla Chiesa Cattolica con le dovute integrazioni relative alle norme della Diocesi ove ha preso dimora, possa partecipare o celebrare quotidianamente la Santa Messa, applicando in essa i frutti della sua contemplazione e ricevendo dal Signore le grazie necessarie per vivere fedelmente la sua vita di contemplazione. Vive certamente e con obbedienza le norme penitenziali approvate dalla Santa Chiesa.
7)      L’eremita emette e vive il voto di povertà. Nel distacco dalle cose e dai beni di questo mondo e cerca, per quanto può, di assicurarsi ogni giorno con le proprie attività il necessario per vivere senza indebiti accumuli di beni. Può detenere delle somme di denaro per mantenersi, dato l’imprescindibile uso di esso nella società moderna: Eulogio…percosso dall’amore dell’immortalità si era distaccato dai tumulti del mondo ed avendo elargito tutti i suoi averi aveva conservato per sé poco denaro, non potendo lavorare (Palladio, Historia Lausiaca 21, 1).
8)      L’eremita vive l’obbedienza in forma diretta nei confronti della persona del Vescovo Diocesano, nelle cui mani fa la sua professione eremitica (Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 603 §2). E’ obbediente però a tutta la Chiesa nelle sue norme giuridiche, morali e liturgiche, e ad ogni creatura (San Francesco, Regula non Bullata, cap. XVI); rispetta la giurisdizione dei parroci nel cui territorio è chiamato a vivere e si può rendere disponibile a loro, se chiamato, qualora vi fosse qualche necessità pastorale, pur sempre nel rispetto del carisma contemplativo.
9)      L’eremita vive la castità consacrata ad esempio e con l’aiuto di Cristo e di Maria Santissima Sempre Vergine; si sforza di custodire i sensi esterni per dare maggior spazio alla preghiera e alla contemplazione. La castità costituisce un segno particolare dei beni celesti, nonché un mezzo efficacissimo offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino (Concilio Vaticano II, Perfectae Caritatis 12). Il santo distacco dalla presenza fisica delle persone lo aiuterà ad amare di più le loro anime ed a consacrarle a Dio in virtù di un amore solamente soprannaturale.
c)      Finalità
10)  Il religioso eremita vive il suo distacco dal mondo in vista del Regno dei Cieli. Non ha altro scopo nella vita se non quello di conoscere ed amare Dio per Cristo che si ritirava in luoghi solitari a pregare (Lc 5, 16), con la mediazione della Vergine Immacolata e di tutte le sane tradizioni approvate dalla Santa Chiesa Cattolica.  L’attività esterna è buona ma, ovviamente, è di secondaria importanza e ancora meno in confronto con la vita interiore, con la vita di raccoglimento e di preghiera, con la vita del nostro personale amore verso Dio (San Massimiliano M. Kolbe, Scritti  903).
11)  La devozione mariana è essenziale nella vita di raccoglimento e contemplazione. Maria, in effetti, è esempio sublime di perfetta consacrazione, nella piena appartenenza e totale dedizione a Dio. Scelta dal Signore, il quale ha voluto compiere in Lei il mistero dell'Incarnazione, ricorda ai consacrati il primato dell'iniziativa di Dio. Al tempo stesso, avendo dato il suo assenso alla divina Parola, che si è fatta carne in Lei, Maria si pone come modello dell'accoglienza della grazia da parte della creatura umana (San Giovanni Paolo II, Vita Consecrata 28). L’eremita si sforzerà di conoscerla ed amarla sempre più con tutto il suo cuore. Per esprimere in modo più profondo la sua relazione filiale con la Madre di Dio e della Chiesa, emetterà nelle mani del Vescovo, oltre ai tre tradizionali Voti religiosi, il quarto Voto detto “Mariano”, di consacrazione illimitata all’Immacolata Vergine Maria, sull’esempio mirabile offerto da San Massimiliano Maria Kolbe nelle Città dell’Immacolata da lui fondate.
12)  Il disagio, l’incomprensione, il bisogno ed anche la malattia dovrebbero essere tutte cose sublimate dall’eremita senza angustiarsi, in vista del più gran premio che è il Signore, la sua santa croce e la salvezza delle anime, cose alle quali ha dedicato tutta la propria esistenza: L'ascesi, aiutando a dominare e correggere le tendenze della natura umana ferita dal peccato, è veramente indispensabile alla persona consacrata per restare fedele alla propria vocazione e seguire Gesù sulla via della Croce. È necessario anche riconoscere e superare alcune tentazioni che talvolta, per insidia diabolica, si presentano sotto apparenza di bene (San Giovanni Paolo II, Vita Consecrata 38).
I testi ecclesiali sulla vita eremitica
Codice di Diritto Canonico, can. 603
§ 1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§ 2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è proprio.
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 921 e 2687
921. Gli eremiti indicano ad ogni uomo quell’aspetto interiore del mistero della Chiesa che è l’intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell’eremita è predicazione silenziosa di Colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui. È una chiamata particolare a trovare nel deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso.
2687. Numerosi religiosi hanno dedicato l’intera loro vita alla preghiera. Dopo gli anacoreti del deserto d’Egitto, eremiti, monaci e monache hanno consacrato il loro tempo alla lode di Dio e all’intercessione per il suo popolo. La vita consacrata non si sostiene e non si diffonde senza la preghiera: questa è una delle vive sorgenti della contemplazione e della vita spirituale della Chiesa.
San Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, nn. 7 e 42
7. Gli eremiti e le eremite, appartenenti ad Ordini antichi o ad Istituti nuovi, o anche dipendenti direttamente dal Vescovo, con l'interiore ed esteriore separazione dal mondo testimoniano la provvisorietà del tempo presente, col digiuno e la penitenza attestano che non di solo pane vive l'uomo, ma della Parola di Dio (cfr. Mt 4, 4).
Una tale vita «nel deserto» è un invito per i propri simili e per la stessa comunità ecclesiale a non perdere mai di vista la suprema vocazione, che è di stare sempre con il Signore.
42. [...] Gli eremiti, nella profondità della loro solitudine, non solo non si sottraggono alla comunione ecclesiale, ma la servono con il loro specifico carisma contemplativo.
Alcune linee guida circa il programma spirituale di vita.
Il Voto di povertà
Desidero avere una fiducia completa e assoluta nella Divina Provvidenza che è sollecita   tanto delle cose spirituali come delle materiali. Per questo intendo:
-          Vivere di ciò che la Provvidenza stessa dona, evitando per quanto possibile, spese inutili o superflue.
-          Avere cura degli oggetti e delle strutture che mi sono date in uso.
-          Rendere conto periodicamente al Vescovo del denaro speso e ricevuto; sia tramite SS. Messe e offerte personali, sia tramite l’IDSC.
-          Praticare almeno l’astinenza nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato e nei giorni di vigilia delle grandi solennità Mariane e il digiuno ecclesiastico nei venerdì, tranne che nelle solennità.
-          Vivere il lavoro (intellettuale, manuale, ecc.) nello spirito monastico, come collaborazione all’opera di Dio e preghiera;  gestire personalmente i lavori domestici.
Voto di castità
Per vivere pienamente la mia donazione a Dio nel sacerdozio e nella consacrazione eremitica, intendo:
-          Custodire la purezza di mente cuore e azioni.
-          Evitare legami personali a cose, esseri umani, situazioni e amicizie particolari, che mi ostacolino nell’essere padre (e madre come Maria) per ogni persona.
-          Celebrare frequentemente il Sacramento della Confessione.
Il Voto di obbedienza
Per attuare  il “Si” di Maria, come Sacerdote eremita, intendo:
-      Vivere in una piena obbedienza al Magistero della Chiesa.
-      Celebrare e vivere con particolare attenzione la liturgia, e in particolare la S. Messa.
 -      Seguire le direttive del Vescovo, e del Confessore/Direttore spirituale e, per quanto possibile, gli orari riportati sotto.
 -      Nei giorni in cui devo assentarmi dalla sede propria, accordarmi per tempo col parroco del luogo.
L’ Apostolato
L’eremita dedica la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo nel silenzio della solitudine e come Maria, è sempre pronto ad accogliere coloro che incontra sulla sua strada, per questo intendo:
-      esercitare l’accoglienza di chi viene a cercarmi in particolare per motivi religiosi e spirituali e offrire disponibilità, se richiesta, per la Confessione, la Direzione spirituale e la catechesi privilegiando sempre un rapporto personale.
-      posso offrire, inoltre, disponibilità per cappellanie, servizi ministeriali, collaborando così anche con i confratelli sacerdoti, in spirito di vera fraternità,  pur sempre nel dovuto rispetto del carisma di tipo contemplativo.
La vita di Preghiera
La vita eremitica si nutre di silenzio, di solitudine, di continua preghiera e penitenza. L’orario tipo della giornata è riportato qui sotto:
-   La giornata è scandita dalla recita dell’Ufficio divino, dalla preghiera personale (s. Rosario meditazione, lettura spirituale… ) e in particolare dalla S. Messa quotidiana.
-   Intendo vivere come preghiera, anche l’incontro con le persone nei vari servizi di apostolato, e lo stesso lavoro.
-   Durante la giornata desidero mantenere, per quanto possibile, un clima di silenzio e di raccoglimento, evitando distrazioni e perdite di tempo. Un giorno alla settimana è dedicato al ritiro spirituale personale.
Orario di massima della giornata
Ore 05,00: Preghiere del mattino, Ufficio delle letture (Mattutino) e Lodi.
Ore 07,00: Santa Messa. Ringraziamento-adorazione.
Ore 08,30: Colazione.
Ore 09,00: Liturgia delle Ore: Prima (facoltativa), Terza. Martirologio.
                  A seguire sistemazione casa, lavoro, servizi, varie.
Ore 12,15: Angelus, Ora Sesta, S. Rosario, comunione spirituale.
Ore 13,00: Cucina e pranzo.
Ore 14,00: Riposo (facoltativo).
Ore 14,45: Ora Nona, Coroncina della Divina Misericordia, Meditazione.
Ore 16,15: Studio, lavoro, servizi , ministero, varie.
Ore 18,30: Angelus, Vespri, lettura spirituale.
Ore 19,45: Preghiere della sera, esame di coscienza quotidiano, Compieta.
Ore 20,30: Cucina e cena (facoltativa).

giovedì 13 dicembre 2018

IDEE E PROGETTI CONDIVISI


                                                             Contemplativi nella città

sabato 20 gennaio 2018

Sodalizio/Union-Sodalité

UNIONE DEI FRATELLI E SORELLE DEL SACRO CUORE DI GESU'

Charles de Foucauld morì nel 1916 col desiderio insoddisfatto di condividere la sua vita al servizio dei tuareg con qualche altro fratello. In Francia c'erano solo 49 iscritti all'"Unione dei Fratelli e Sorelle del Sacro Cuore di Gesù" che egli era riuscito a fare approvare dalle autorità religiose e per i quali aveva scritto il "Direttorio".
Fu grazie a Louis Massignon (1883-1962) orientalista e islamologo di fama mondiale, però, che l'Unione riuscì ad andare avanti e a svilupparsi.
Massignon aveva incontrato Charles de Foucauld una prima volta nel 1909 restando poi in contatto epistolare fino alla sua morte. Egli fece di tutto per mantenere viva l'Unione voluta dal suo "fratello maggiore": pubblicò il Direttorio e avviò l'"Associazione Charles de Foucauld" per la quale ottenne l'autorizzazione del cardinale Amette.
In seguito sorgeranno numerosi gruppi e congregazioni che troveranno sostegno dall'Associazione e consigli da Louis Massignon.
Massignon prese a poco a poco le distanze dall'Associazione, ma continuò ad animare fino alla sua morte un gruppo di uomini e di donne, laici, religiosi, religiose e preti che s'ispiravano alla spiritualità del "Direttorio". Nel 1947 diede al gruppo il nome di "Sodalizio del Direttorio". Questo gruppo delle origini si chiama dal 1955 "Union-Sodalité".

LOUIS MASSIGNON

Louis Massignon (1883-1962), orientalista, islamista e teologo francese.
ll "cattolico musulmano", come volle definirlo Papa Pio XI - studioso della mistica islamica. Notevoli i suoi contributi alla riflessione teologica cattolica, che hanno potuto influenzare la stessa Nostra Aetate, documento del Concilio vaticano II.
Si sposa nel 1914 e ricopre dal 1917 al 1919, nell'Esercito stanziato in Oriente (Armée d'Orient), l'incarico di ufficiale in Palestina e in Siria.
Il 15 giugno 1919 divenne professore supplente di Sociologia musulmana al College de France e diventa di ruolo dal gennaio 1926 fino al 1954, dopo il pensionamento dell'istitutore di una tale cattedra: Alfred le Chatelier.
Diventa direttore dell'ottima Revue du monde musulman, ricca di dati statistici relativi al nascente mondo arabo-islamico, dopo la disfatta dell'Impero Ottomano. Negli anni '30 fonda la prestigiosa Revue des études islamiques.
Diventa nel 1933 direttore della Ecole pratique des hautes etudes e socio dell'Accademia araba del Cairo (partecipando regolarmente alle sue riunioni fino al 1960. Fonda nel 1934 la peculiare confaternita della Badaliya a Damietta (Egitto).
Nel 1947 è presidente dell'Institut d'études iraniennes.
Negli anni '50' è responsabile della Sodalité, la confraternita/'associazione di fedeli nata da un progetto maturato dalle conversazioni, le lettere e la notte di adorazione trascorsa da Massignon e Charles de Foucould nel Sacro Cuore di Montmartre il 22 febbraio 1909.


LO SPIRITO EREMITICO DEL SODALIZIO

Louis Massignon era presente a Beni-Abbes. Ha ricordato il suo primo incontro con Charles de Foucauld, la notte di adorazione (21-22 febbraio 1909) passata con lui nella Basilica del Sacro Cuore a Montmartre a Parigi, come l'inizio del primo gruppo (48 persone alla morte di Foucauld ), il titolo da cui è stato avviato tutto. All'epoca in cui sorgevano le diverse "fraternità", Massignon si concentrò sul Direttorio, un particolare gruppo che rappresentava lo spirito eremitico di Foucauld, che fino alla sua morte aveva voluto avere dei compagni, ma che rimase solo fino alla fine. Per Massignon, questo spirito eremitico consisteva nel vivere i consigli evangelici del Direttorio ovunque uno fosse, in pieno contatto umano, in solitudine reale, poiché i membri di quello che chiamava la «Sodality», erano legati l'un l'altro dal carisma di Fr. de Foucauld nella comunione dei santi. Questa «Sodalità», descritta da Massignon come «la più umile delle realtà di Foucauld», questo primo gruppo molto originale, che non aveva cessato di essere il punto di riferimento per il gruppo dei seguaci dell'eremita del Sahara, era discretamente il cuore della riunione di Beni-Abbes e la sua forza.

(da un articolo di J.F. Six, responsabile dell'Unione e successore diretto di Massignon)

DALLO STATUTO

L’UNIONE ha per origine Charles de Foucauid che, malgrado il suo desiderio di fondare delle fraternità, ha vissuto solo fino alla sua morte nel deserto, conducendo, nel cuore di una popolazione estra­nea alla fede cristiana, un’ esistenza evangelica "umile, discreta, ve­lata" (L Massignon), praticando "la dolce ed umile carità e fraternità di Gesù di Nazareth" (Ch. de Foucauid}.
L’Unione si riferisce ad una raccolta incompiuta di "Consigli Evangelici" scritti da Ch. de Foucauid per coloro che avrebbero voluto vivere "questa grazia modesta alla portata di tutti" (Ch. de Foucauid)(Raccolta pubblicata sotto il titolo CONSIGLI, Parigi, Seuil."Ì986).
Cosi l’Unione "offre ad ogni anima di buona volontà un sempli­ce consiglio, discreto: si tratta solo di un consiglio ma è quello delle Beatitudini"; essa "è un luogo di vita contemplativa libera" (L. Massi­gnon). La Sodalità vuole manifestare una reale partecipazione ai mi­steri di Gesù, sia a Nazareth che al Sabato Santo, quando s'inserisce nella vita nascosta o nelle tenebre della morte, per creare il passag­gio, la "pasqua", verso la luce di Dio.
L’unione si situa nella linea dei santi che, come Maria nella Visitazione, Francesco d'Assisi, Antonio Chevrier o Teresa di Lisieux, hanno vissuto, in forme diverse, la solitudine e la semplicità, la pover­tà e le notti spirituali.

Articolo 1 • Natura dell'Associazione
L’Unione è un "associazione privata di fedeli. A parte l'Associazione Generale che comprende l'insieme dei gruppi nati dal Padre de Foucauld, associazione decisa a Béni-Abbès nel 1955, l’Unione è, tra questi gruppi nati dal Padre de Foucauld, l'unica a non es­sere una fraternità", ma una rete di persone isolate; essa è "la più umile delle affiliazioni foucouldiane" (L Massignon).








venerdì 3 marzo 2017

Sui nuovi eremiti

Alcuni passaggi di un articolo di Liliana Lattanzi 
(Fonte: http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/05/20050922a.htm)

(...)

FORME
DI VITA EREMITICA

Le modalità in cui i nuovi eremiti realizzano la loro vocazione sono in parte antiche in parte nuove. C’è chi vive la sua chiamata all’interno di alcuni ordini monastici di antica tradizione, come il camaldolese (di Arezzo e di Monte Corona) e il certosino. Ma anche in altri ordini, come quello cistercense, benedettino, o francescano, sono possibili ancora oggi esperienze di vita eremitica, temporanee o definitive, che affiancano la vita cenobitica prevalente.
Addirittura presso alcuni ordini, come quello dei Camaldolesi, ancora oggi sono consentite forme di “reclusione” volontaria, peraltro praticate da sempre2.
Ma accanto a queste forme tradizionali, mai venute meno nella Chiesa anche se con declini e ritorni, cresce e si diffonde l’eremitismo diocesano, per molti aspetti nuovo, reso possibile, appunto, dal canone 603 del CIC.
È caratterizzato da flessibilità e varietà negli stili di vita, garantite da una regola ad personam, che il Vescovo approva quasi riconoscendo all’anacoreta una sorta di “contrattualità”. Infatti le modalità concrete in cui la chiamata eremitica si concretizza vengono in qualche modo “contrattate” con il vescovo, che riceve la professione dei voti dell’anacoreta e legittima così il suo carisma all’interno della Chiesa.
L’eremita diocesano, non più affidato alla mediazione dell’ordine monastico, ha quindi nel vescovo il suo diretto referente. Una novità assoluta nella vita della Chiesa. In qualche modo emerge l’idea di una ecclesialità della vita cristiana, inserita sì in una dimensione universale, ma vissuta e concretizzata all’interno della Chiesa diocesana. Inoltre il dono comporta una responsabilità, un impegno di vita, che l’eremita stesso si dà adattandolo alla sua personale situazione.
È una forma di vita, questa, alla quale si accostano laici, religiosi e anche preti diocesani. Individualmente o a gruppi di due o tre persone. Con un impegno stabile o temporaneo. Alcuni coltivano l’ospitalità, altri scelgono un silenzio e una solitudine più radicali. C’è poi chi porta l’abito religioso e chi vuole l’anonimato in tutto, compresi l’abbigliamento e lo stile di vita.
Un discorso tutto da approfondire è quello di una presenza, che dalle ricerche sembrerebbe prevalente, di religiosi o ex religiosi nell’utilizzo di questo modello istituzionale di vita eremitica.
Un dato tutto da interpretare. Stanchezza rispetto alle forme più tradizionali della vita religiosa? Rifiuto di un attivismo e di un efficientismo vissuti come eccessivi o per lo meno tali da non permettere una adeguata cura delle cose interiori? Rifiuto di una vita religiosa spesso soffocata da rigidità di tipo strutturale, da vincoli burocratici, sociali ed ecclesiali? O semplicemente voglia di recuperare una spiritualità più profonda, più fondata sull’interiorità e la preghiera?

GLI EREMITI
LIBERI

Accanto a questi due modelli istituzionali di vita eremitica, uno antico e l’altro nuovo, c’è un terzo modello, non istituzionale, non riconosciuto, ma ugualmente legittimo e meritorio se attuato nella condizione di una comunione reale con la Chiesa. Si tratta dell’eremitismo libero, senza regole né riconoscimenti ecclesiali, senza vincoli e impegni come i tradizionali voti religiosi.
Questi eremiti non sono ovviamente citati nel secondo paragrafo del canone 603, però ne parla il Catechismo della Chiesa cattolica (920-921).
Se un battezzato, dopo attento discernimento e in piena comunione con la Chiesa, decide di vivere la sua chiamata alla solitudine e al deserto senza alcun vincolo, è pienamente legittimato a farlo in virtù del suo battesimo. Tuttavia, proprio perché questo tipo di vita richiede grande e sperimentata maturità umana e spirituale, è opportuno che l’eremita adotti alcune fondamentali precauzioni per evitare che una certa superficialità venga a snaturare o anche semplicemente ad appannare il suo dono.
Perché dietro la radicalità di una scelta spirituale possono celarsi bisogni di fuga, rifiuti di responsabilità, forme di disadattamento psicologico o difficoltà a relazionarsi sul piano sociale. E soprattutto perché una scelta così impegnativa richiede comunque sempre un punto di riferimento certo e costante (un padre spirituale, un confessore, un monastero…) per una verifica e un discernimento che devono essere continui nel tempo. Se questo è necessario per l’eremitismo istituzionale a maggior ragione lo è per quello libero.
C’è chi dice che sono loro i veri eremiti. E chi vede invece nella loro esperienza di vita una contestazione esplicita o implicita nei confronti della stessa Chiesa istituzionale. Affermazioni, queste, tutte da verificare, anche se è credibile che almeno in parte questo aspetto sia presente in talune esperienze.

(...)

GLI EREMITI
DIOCESANI

Nel secondo paragrafo, il canone 603 così afferma: «L’eremita è riconosciuto dal diritto canonico come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva la norma di vita che gli è propria». È in sostanza il riconoscimento di eremiti istituzionali che non sono monastici. Il vescovo, diretto referente dell’eremita, ha nei suoi confronti un ruolo di “guida”, di sostegno nel vivere la “norma di vita” che egli stesso si è dato.
C’è chi dice che in questo caso meglio sarebbe parlare di progetto più che di regola di vita, per sottolinearne una maggiore flessibilità e capacità di adattamento. Ma questo non cambia di molto la lettura del canone. Il legislatore prefigura comunque con chiarezza un ruolo discreto del vescovo nel governo di questo carisma escludendo forme di intervento attivo e diretto.
In ogni caso, il rifiorire di questa particolare forma di vita, pone indubbiamente alla Chiesa tutta una serie di interrogativi e di problemi.
Questi nuovi contemplativi infatti sempre più spesso bussano alle porte delle comunità monastiche tradizionali per chiedere il sostegno di una guida spirituale o anche semplicemente per essere aiutati nei momenti della formazione. A volte un monastero diventa per loro il luogo concreto in cui approfondire una spiritualità di riferimento. Per alcuni solitari il legame con una comunità contemplativa diviene stabile e prevede momenti annuali di soggiorno nel monastero stesso, e un ruolo spirituale dell’abate o dell’abbadessa, a cui il vescovo affida l’eremita , perché lo segua e lo aiuti nel suo cammino di solitario.
Non c’è dubbio che anche le comunità monastiche tradizionali dovranno in qualche modo interrogarsi sul ruolo che possono avere nei confronti di tutti quei battezzati che, in forma stabile o anche solo transitoria, volessero scegliere questa forma di vita, e attrezzarsi di conseguenza.

(...)

SOLITARI
NELLE CITTÀ

La novità di una rilettura dell’eremitismo antico appare più evidente soprattutto in quelli che molti definiscono gli eremiti metropolitani, i solitari nelle città.
Della «separazione dal mondo» accentuano gli aspetti più simbolici e interiori ridimensionando quella separazione fisica che però conservano in alcuni momenti e aspetti della loro vita e ritengono comunque necessaria. La città, per loro, è il simbolo del cammino terreno degli uomini, con il suo carico di solitudini, di incomunicabilità, con i suoi rumori, i suoi mali. La città è il moderno deserto in cui l’uomo costruisce i suoi idoli, il successo, i piaceri, il consumo sfrenato, il mito dell’efficienza, dell’effimero, l’idolatria dei poteri.
Ma la città è anche il luogo in cui gli uomini sono chiamati a incontrarsi, a vivere la storia e il tempo che è stato loro donato, a incontrare Dio, a camminare verso la celeste Gerusalemme sapendo che però nel mistero essa è già presente nel mondo. È qui, sul campo, che alcuni solitari, testimoniando la speranza che hanno nel cuore, realizzano con la loro vita una nuova e tutta interiore fuga mundi. Essere nel mondo senza essere del mondo: cioè amarlo e odiarlo, come ha fatto Gesù.
Perciò sono soprattutto le barriere dello spirito quelle che innalzano, per custodire il cuore dalle distrazioni e dal male. Ripropongono, nei deserti delle città, l’idea del combattimento spirituale. Sul campo, viso a viso, corpo a corpo, senza fuggire, con le armi di Dio.
Anche per gli antichi padri il termine mondo stava ad indicare gli aspetti più decaduti della natura umana, non certo il rifiuto della convivenza umana in quanto tale. «Non può avvicinarsi a Dio se non colui che si allontana dal mondo – così afferma un grande solitario, Isacco di Ninive –. Migrazione però: io non parlo di distacco dal corpo, ma dai suoi desideri. Questa è la virtù: essere, nel proprio pensiero, vuoti di mondo»14.
I solitari delle città vivono nel silenzio delle loro case, nell’anonimato, dedicandosi alla preghiera e alla meditazione della parola di Dio. Vivono sobriamente, del loro lavoro. Si ritagliano spazi significativi, nella giornata – prevalentemente al mattino e alla sera – da dedicare alla preghiera liturgica e personale e all’ ascolto della parola. Qualcuno di loro nella regola o progetto di vita, prevede rientri in alcuni tempi dell’anno in una comunità monastica di riferimento. Sono laici e sacerdoti, consacrati secondo il canone 603 ma anche liberi.15
Riprendono e attualizzano nel contesto metropolitano la pratica della preghiera incessante, fatta in una cella che di volta in volta è il mondo, l’autostrada percorsa in automobile, il luogo di lavoro, la strada affollata di gente, il tram, o la silenziosa intimità del proprio appartamento. Con la loro vita testimoniano la sfida dell’uomo moderno a trovare Dio, e a lasciarsi trovare da lui.
Non di pura tecnica o prassi si tratta. La preghiera incessante che animava il monachesimo delle origini , può ancora illuminare la vita dei cristiani oggi, chiamati a essere, come Giovanni, «lampada che arde e risplende», pietre vive nell’edificio spirituale che è la chiesa di Dio. Questi moderni solitari , pur nella radicalità di una scelta che non appartiene a tutti, indicano con forza la bellezza della vocazione di ogni battezzato, che è di rendere con la propria vita, in ogni momento culto a Dio, come afferma anche la Lumen gentium al c.34, a proposito della partecipazione dei laici al sacerdozio comune.
E quindi alla fine, proprio loro che sembrano lasciare il mondo tagliando un po’ su tutto: cose, relazioni, incontri, parole, sono proprio loro a testimoniarci, con la vita, che il mondo è bello perché appartiene a Dio, che Dio lo si può incontrare e lodare ovunque, ovunque si può, nella cella del cuore, intercedere per ogni fratello che si incontra. Quello che il concilio ha definito consecratio mundi – sempre nello stesso capitolo della costituzione Lumen gentium – passa nel cuore di ogni credente, che è reso capace, in Cristo, di attraversare il mondo santificando tutto ciò che tocca o che fa. E proprio nel rapporto con il mondo si gioca il futuro della Chiesa del terzo millennio e quello dell’evangelizzazione.
«Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell’eremita è predicazione silenziosa di colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui»: così il Catechismo della Chiesa cattolica definisce la vita eremitica. E forse nessuna definizione è più appropriata di questa (CCC 921).
Pur con tutti i loro limiti, magari anche con qualche eccesso o stravaganza di troppo, i moderni eremiti ci indicano, profeticamente, un rapporto col mondo fatto di immersione e di separatezza, di amore profondo ma anche di odio, nella consapevolezza che il deserto attraversa ogni storia e ogni vita, ma alla fine, per tutti, è solo e soltanto un passaggio verso la vita, quella vera. Gli eremiti, oggi, ci insegnano a camminare nel deserto, animati dalle parole di Gesù :«... quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via» (Gv.14,3-4).