http://www.italiachecambia.org/2016/11/viaggio-eremiti-italia-spazio-solitudine/
Scritto il
Come ci si accosta a chi ha fatto della solitudine il proprio stile di vita senza invadere quello spazio sacro di ricerca e raccoglimento? A qualche settimana dalla partenza, ecco la prima puntata del diario del viaggio tra gli eremiti d'Italia intrapreso da Alessandro Seidita e Joshua Wahlen, due giovani registi che racconteranno questa esperienza nel documentario “Voci dal Silenzio”.
Ancora prima d’iniziare il viaggio, immaginavamo che non sarebbe stato semplice sviluppare una ricerca documentaristica sull’esperienza eremitica. Comprendevamo che ci stavamo per muovere all’interno di un paradosso, perché in fondo volevamo provare a raccontare qualcosa che perde il suo significato proprio nel momento in cui lo si racconta. Per incoscienza, o per l’infatuazione data dal fascino della meta irraggiungibile, proseguimmo nell’idea, indifferenti ai primi campanelli d’allarme. Ma i campanelli divennero ben presto assordanti.
“Non si mette facilmente nel sacco un eremita”, esordì Padre Isacco non appena ci vide spuntare carichi di attrezzatura e con i pantaloni infangati fino alle ginocchia. E così fu. Ripercorremmo il sentiero scosceso in direzione opposta senza nessuna intervista tra le mani.
La negoziazione con Corrado durò più a lungo: “Corrado, la difficoltà del nostro lavoro consiste proprio in questo, portare l’eremita a scendere dalla propria montagna per condividere l’esperienza con il resto del mondo, così come fece Zarathustra”. Corrado era capace di risponderci solo con lo sguardo, uno sguardo che racchiudeva in sé tutta la profondità e il conflitto di chi s’immerge nella solitudine.
Ragionammo insieme tutta la giornata sulla possibilità o no di realizzare l’intervista. I discorsi si fecero eterei, rarefatti. Improvvisamente nessuno parlò più. Seguirono lunghi minuti di silenzio. Corrado infine rialzò lo sguardo e disse: “la solitudine per me significa essere con gli altri senza essere con gli altri. Esserci attraverso il non essere presente”. Finimmo per comprendere la sua necessità di non cedere alle nostre richieste e di mantenere integro lo spazio di silenzio a cui era votato.
Questo elemento d’incertezza che portiamo dentro di noi, il dubbio se sia giusto o no raccontare l’esperienza eremitica, ci ha reso liberi dalla violenza dell’atto persuasivo. Ci si ritrova a condividere la stessa danza appassionata, danza che spesso porta a un nulla di fatto, ma che lascia sempre l’emozione dell’essersi avvicinati, o forse anche toccati, in forme rare di prossimità.
Sulla soglia dell’eremo di Padre Isacco, azzardammo: “E se domani passassimo dell’altro tempo insieme, sarebbe un problema?”. Con aria divertita cominciò a tamburellare l’indice sull’iscrizione appesa all’entrata dell’eremo, come a dirci leggete, leggete: “Habitantibus hic oppidum carcer est et solitudo paradisus”. Incapaci di tradurre la scritta in latino lo guardammo con aria spaesata. La scritta diceva letteralmente “per chi abita qui, la città è il carcere la solitudine il paradiso”. Capirete dunque il senso di meraviglia quando disse: “potete farmi visita tutte le volte che lo desiderate”.
Con Rosalba ci siamo affiancati con la più grande delicatezza. Ogni incontro richiede delle modalità di approccio differenti. Sapevamo di avere di fronte una donna anziana che ospitava un mondo di fragilità e sofferenza. Quando le abbiamo parlato per la prima volta del documentario ci disse: “Devo chiedere al Signore, se lui vuole potete intervistarmi”. Abbiamo fermato il camper all’interno di un posteggio anonimo di una cittadina altrettanto anonima. La pioggia cadeva senza sosta. Ogni giorno ci recavamo all’interno della grotta dove dormiva. La trovavamo in ginocchio di fronte alla statua della Madonna e attendevamo la sua risposta seduti su di una panchina. Stretti l’uno all’altro ci riparavamo dal freddo o ci gomitavamo a vicenda se la testa cominciava a cadere per il sonno.
Dopo ore di attesa Rosalba riappariva come per miraggio: “oggi il Signore non vuole, ma domani chissà…”. Un altro giorno di attesa per noi. Un altro giorno in cui arrivi a mettere in questione non solo il tuo lavoro artistico, ma la tua vita in generale. Siamo rimasti lì ad aspettare per giorni. Ed è così che abbiamo scoperto di possedere anche noi una fede. Non ci importava più se il responso che attendevamo sarebbe arrivato dall’alto o dagli sguizzi disinteressati di una mente visionaria. Era per noi l’adesione totale a un gioco, un gioco che prendeva senso nella misura in cui decidevamo di crederci. Poi, improvvisamente, la risposta positiva. Ed è così che riuscimmo a raccogliere una delle interviste più interessanti dei nostri ultimi anni.
Ogni eremita a cui abbiamo fatto visita vive l’esperienza di solitudine in una maniera del tutto personale. Padre Isacco ha una rubrica in cui segna i giorni di effettiva solitudine. “Riesco a conservarne all’incirca 180 durante tutto l’anno, giorni in cui non incontro un solo volto umano. Mi risultano sempre troppo pochi” .
L’eremo di Paola è un via vai di coppie, bambini, gruppetti religiosi. Considera ore di preghiera anche il tempo di ascolto che dedica ai suoi ospiti. Per preservare la sua solitudine, tuttavia, si è dovuta costruire un eremo nell’eremo nascosto tra la vegetazione e raggiungibile solo calandosi da una corda. Corrado invece sembra avere abbracciato quell’antica saggezza orientale costruita sulla logica del non fare “lascia fare, astieniti più che puoi, inagisci. L’erba cresce anche senza zappare, i bambini diventano adulti anche senza innaffiarli. Il sudore non serve, la fatica è un di più; e anche tu, non sei essenziale: sei un regalo. Non aver furia a spacchettarti.” Così scrive nelle pagine di un suo diario. Tuttavia, il suo principio del non fare, non lo esime dal sostegno che giornalmente offre ai genitori oramai anziani.
Valeria, infine, si è avvicinata alla dimensione della preghiera a partire dalla malattia, un percorso progressivo che l’ha portata a ricercare una dimora interiore capace di manifestare il senso pieno del suo esistere. “La crisi vissuta è stata un aiuto per entrare nell’altra dimensione, nella profondità che da senso alla vita. Solo in questo modo sono riuscita a sfondare le porte della fortezza in cui ero rinchiusa”.
Questi segni di rottura diventano la conferma che questo mondo delle illusioni non ci domina in fondo del tutto, che avvengono sempre delle interferenze capaci di portarci fuori dal gioco. Racconta Corrado:
“Ho vissuto per 50 anni pensando che fossi io a muovere il mondo, poi la malattia mi ha fermato e mi sono reso conto che il mondo continuava a girare tranquillamente senza di me. Da quel momento ho compreso che non c’era nessun bisogno di “fare”. Avevo la chiara sensazione della mia piccolezza rispetto a qualcosa di più grande che abita dentro e fuori di me. La mia scelta non è stata di certo razionale. Ero misteriosamente guidato. Probabilmente ero talmente testone che, per capire tutto questo, dovevo passare dentro una profonda sofferenza”.
L’esperienza con la morte diventa un elemento ricorrente nei racconti degli eremiti finora incontrati. Essa rappresenta spesso l’occasione per allontanarsi dall’ordinaria relazione con sé e con il mondo, per separarsi dai modelli comportamentali subiti in maniera inconsapevole. Un percorso di espoliazione, di liberazione dagli strati superflui di cui si riveste l’io. Ed è a partire da questo movimento che si ritorna sempre al principio primo: l’Amore.
Amare ma soprattutto sentirsi amato, in un’esperienza penetrante, pervasiva. L’eremita attraversa lo spazio della solitudine alla ricerca di quell’Amore che non ha scoperto all’interno della socialità. Arso da questo desiderio si ritrova ad abitare spazi inospitali, della natura terrestre e di quella umana. L’eremo diventa immagine riflessa del corpo, abitazione dell’anima. “Quale senso può avere la mortificazione del corpo… Il mio spirito risiede all’interno di questa casa ed è solo da qui che posso ricavare gli strumenti per avvicinarmi a Dio”. All’interno di questo rapporto di cura l’eremita cerca di recuperare un alfabeto perduto. Ricostruisce un legame con il paesaggio circostante e con le creature che lo abitano.
Tutto ciò attraverso un esercizio e un’azione continua: il recupero della legna, la manutenzione del luogo, la cura dell’orto e dell’abitazione, la lotta contro l’avanzata famelica della vegetazione circostante. L’esercizio contemplativo si protrae nella fatica fisica, nell’intelligenza pratica per la sopravvivenza. E i segni di questo lavoro sono spesso facilmente visibili. “Volete riconoscere un vero eremita? guardategli le mani!”. Tutto ciò rende l’eremitismo una realtà profondamente complessa, a volte indecifrabile. All’interno di questo luogo non c’è solo l’esercizio della preghiera, ma un’azione che ha continui risvolti politici, estetici, metafisici. L’eremo diventa così un laboratorio alchemico dove giornalmente si cerca di estrarre il senso profondo delle cose e di se stessi.
Queste pagine, e quelle che successivamente pubblicheremo, fanno parte di un diario di viaggio che ha il fine di raccontare ciò che l’esperienza filmica (1), da sola, non può cogliere: il retroscena intimo che precede e segue ogni incontro, la trama di pudore di cui si compone l’esperienza di ogni persona incontrata. È anche un modo per calarci interamente all’interno della ricerca e creare un ulteriore spazio di riflessione. Un modo, insomma, per accompagnare il viaggio e avvicinarci a una più sincera comprensione delle realtà che andremo documentando.
1. Le storie degli eremiti incontrati durante questo viaggio, i conflitti e la vocazione di chi ha scelto di vivere in solitudine saranno raccontati nel documentario“Voci dal Silenzio”, che cercherà di sviluppare un discorso corale sull’esperienza ascetica. Per partecipare al progetto Clicca qui:
https://www.produzionidalbasso.com/project/voci-dal-silenzio/
https://www.produzionidalbasso.com/project/voci-dal-silenzio/
Per leggere altri articoli su“Voci dal Silenzio”, un documentario sugli eremiti d'Italia vai qui: